Introduzione

Vi lascio il link di questo articolo (abbastanza lungo) pubblicato da linkideeperlatv.it il 24 giugno 2024. In particolare riporto qui sotto l’ultima sezione, ditemi che ne pensate.

Perché la gente va al cinema, e perché non ci va? Perché la Francia ha tre volte gli spettatori dell’Italia e il cinema domestico lì ha una quota di mercato del 40%, oltre il doppio di quella del cinema italiano in Italia?

La sala può funzionare molto bene, ma a certe condizioni. A volte pare funzionare bene perfino come piattaforma per altre forme di intrattenimento, come la televisione (gli episodi di The Chosen distribuiti al cinema hanno superato per incassi diversi film hollywoodiani), o i film-concerti (BTS: Yet to Come in Cinemas è stato un buon successo anche da noi). Altre volte invece sembra non funzionare affatto, soprattutto in Italia. Alcune osservazioni di distributori ed esercenti, su aspetti francamente secondari dell’esperienza del consumo, sono senz’altro condivisibili: sarebbe utile disporre come in altre parti del mondo di un unico sito per l’acquisto online dei biglietti, senza sovrapprezzo, e migliorare la comunicazione delle pagine web della maggior parte dei cinema del Paese.

Ma da noi si promuove con troppa insistenza una mistica della sala un po’ stucchevole: bisognerebbe, si ripete, riabituare gli spettatori alla grande bellezza dell’evento cinematografico, convincerli dell’unicità irripetibile della proiezione, della qualità superiore dell’emozione e del coinvolgimento che assicura, e del fatto che la sala sarebbe inoltre un imprescindibile presidio culturale. Una retorica dell’eccezionalismo cinematografico che sembra mancare il bersaglio ed essere contraddetta dalla realtà: se quell’esperienza fosse davvero così irripetibile perché la gente non ama ripeterla? In Italia gli esercenti sembrano poi spesso correlare il successo theatrical alla qualità materiale del servizio proposto, che dunque andrebbe sempre migliorato – la maestosità dello spettacolo, il comfort, le poltrone meglio imbottite e magari reclinabili. Ma per la verità le stesse sale che oggi si ritengono migliorabili nel 2019 e nei primissimi mesi del 2020 avevano registrato incassi che erano considerati relativamente buoni.

Il punto deve stare altrove, e proprio alla radice. Perché la gente va al cinema, e perché non ci va? Perché la Francia ha tre volte gli spettatori dell’Italia e il cinema domestico lì ha una quota di mercato del 40%, pari a quella del cinema americano, oltre il doppio di quella del cinema italiano in Italia? È merito soltanto delle finestre di esclusiva theatrical più lunghe e rigide che hanno oltralpe, o delle poltrone più comode? Probabilmente bisogna guardare i film: i tre titoli francesi del 2022 più visti in quel Paese hanno avuto, ciascuno, più spettatori di Super Mario Bros. in Italia, cioè di un film che da noi ha avuto un successo straordinario. Il primo è una commedia che mette a tema l’integrazione in Francia, il secondo parla della caccia all’uomo che è seguita all’attentato del Bataclan di Parigi, e il terzo è un biopic su Simone Weil. Forse quello che manca al cinema italiano è una simile liveness, una simile capacità di connettersi a una comunità o a gruppi sociali e di fornire loro delle rappresentazioni condivise. La precondizione per l’uscita da una situazione di anemia e di dipendenza culturale sta in un’opera di restauro civile del Paese, perché non si deve dare per scontato che oggi da noi ci sia effettivamente una comunità cui riferirsi. Il cinema può prosperare là dove vive una cultura, da un lato, e dove i film, dall’altro, riescono a intercettarla, a farsi sentire come attuali, a dare alle persone la coscienza di vivere nel tempo e nello spazio, cioè nella storia e in qualche luogo preciso. Ovvero la sensazione di esserci, di essere presenti. La sala cinematografica in questo può giocare un ruolo quasi rituale, e forse è proprio questo il suo compito.

Dopo qualche anno in cui l’industria sembrava aver intrapreso tutt’altra strada, ora la sala è tornata a essere considerata determinante nel percorso di valorizzazione dei film, per il prestigio che è in grado di conferire al prodotto cinematografico, perché gli dà consistenza e visibilità (anche banalmente in termini di marketing), cioè perché aiuta a farlo esistere per davvero. A vantaggio di uno sfruttamento che, sembra, potrà tornare a essere più prolungato e su più finestre, in modo che il valore possa moltiplicarsi e durare nel tempo. Senza esaurirsi troppo velocemente, come è capitato invece a quei film che hanno puntato troppo presto all’online o per i quali sono stati adottati modelli distributivi con finestre troppo corte, e come capita tuttora a tutti quei prodotti audiovisivi che fluttuano amorfi nel brodo primordiale dei cataloghi delle piattaforme. La gestione ottimale dell’economia di un film si deve basare su un articolato sistema di finestre, e la sala è in testa al processo di creazione del valore. Ma in ultima analisi il valore che la sala conferisce al film corrisponde al valore che riesce ad assegnare allo spettatore. La sala serve a dare senso allo spazio e al tempo, collocando all’interno dell’uno e dell’altro sia il film che lo spettatore. Facendo emergere entrambi da una condizione di nebulosità indistinta, assicurandone la presenza, producendo delle differenze che aiutano alla vita e all’orientamento.

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