«C’è oggi un’euforia politica attorno a Monique Wittig (1935-2003), scrittrice e teorica lesbica che, dall’inizio degli anni Settanta, ha rivoluzionato il modo di pensare il sesso e l’eterosessualità. E c’è un gran fermento editoriale intorno al suo lavoro, insuperato, ancora oggi, quanto a forza denaturalizzante. In Francia, i suoi libri sono ripubblicati, all’estero si moltiplicano le traduzioni o le ritraduzioni. Per l’Italia, basti pensare al magistrale lavoro di curatela e ritraduzione recentemente fatto da Deborah Ardilli per Il corpo lesbico cinquant’anni dopo la sua prima pubblicazione in francese.

Perché Wittig oggi? E perché con tanta forza trascinante? Più ragioni storiche concorrono a spiegare questo fenomeno: le fasi politiche che attraversano in diversi Paesi alcune frazioni dei movimenti femministi e LGBTQIA+ sono caratterizzate da una critica mossa alla dimensione strutturale del sistema eteronormativo in vigore che trova certamente eco nei testi wittighiani. Nella riscoperta di Wittig c’è, inoltre, il ruolo trainante, anche se ambivalente, giocato da alcune ormai celebri teorie queer, in special modo quelle di Judith Butler o di Paul B. Preciado, di cui Wittig sarebbe l’antesignana. Essenziale è stato, ed è, lo smisurato lavoro di trasmissione fatto da appassionate traghettatrici di cultura lesbica come l’intellettuale e militante francese Suzette Robichon, amica e sodale di Wittig che, coadiuvata dall’associazione Les Ami.es de Monique Wittig, ha contribuito a permettere al pensiero della teorica di trovare negli ultimi anni nuove forme di incarnazione teorica, artistica, militante, editoriale».

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