In tutti i romanzi di Pierre Magnan incombe la natura, quasi sempre con il vento impetuoso che scende dalle montagne; cime (la Lure in primo luogo) per arrivare alle quali si passa dalle coltivazioni intensive specializzate alle boscaglie e a qualche foresta, per rinvenire pianori erbosi non di rado sprofondanti in doline (e rupi e sassi e burroni); cappelle e chiesette di campagna; reperti archeologici romani; piante rare, piante endemiche, piante officinali, profusione di fiori a primavera; maestosi castelli diroccati; lo scrosciare, talora pauroso, specie nella brutta stagione, delle acque della Durance e della Bleone e di tanti torrenti, spesso con accompagnamento di diluvi di pioggia e di spaventosi fulmini; ed anche il sole e la neve, certamente. E tanti giardini, tanti orti, tanti alberi che, più che coltivati, sembrano ormai crescere da soli e sfidare le intemperie, perché messi a dimora da qualche antenato più avveduto, il tutto a completare la parte di paesaggio che dovrebbe essere precipua cura dell’uomo. Come nel caso di Digne, vero centro di Provenza. Ci sono, ancora, i paesi, i villaggi, altre città, di cui il lettore, grazie alle descrizioni, può quasi direttamente vedere stazioni, ville, terme, palazzi, monumenti come la fortezza di Sisteron. E a Sisteron una grande pianta di glicine, abbarbicata per tutta l’altezza di una bella casa borghese, in un episodio memorabile narrato da un uomo che aveva fatto nelle Basse Alpi la Resistenza, non a caso nell’appena citata occasione - non l’unica! - rivisitata con marcati chiaroscuri. Anche il personaggio preferito di Magnan, il commissario Laviolette, ha fatto, invero, la Resistenza.