Il vecchio saggio è destinano a estinguersi dal genere umano, diventeremo tutti anziani con deficit cognitivi

(Gianluca Parisi). Le microplastiche, diffusesi nel ciclo alimentare umano, finiscono per accumularsi negli organi interni e quelle che si accumulano nel cervello potrebbero star determinando la degenerazione del sistema nervoso che a sua volta determina l’insorgenza di patologie di demenza senile in età sempre più giovane. Il vecchio saggio, quello che era depositario della conoscenza, della ragionevolezza è destinato a estinguersi, al suo posto anziani con problemi cognitivi che insorgono ben prima dei 70 anni. Vascolopatia celebrale, ipertensione, colesterolo sono già fattori di rischio che portano pian piano il paziente anziano alla stessa condizione di un malato di Alzheimer. Ma dalle autopsie effettuate a chi ha dato il proprio consenso a fini di ricerca, accanto a questi fattori, si è notato che tutte le persone affette da deficit cognitivi hanno un concentrato di microplastiche nel cervello. Queste possono interferire nella comunicazione tra i neuroni alterando il normale funzionamento del cervello e influenzando processi cognitivi e comportamentali. Il problema è che queste microplastiche sono ovunque, nel mare, nei cibi. E’ un po’ come quanto accaduto coi PFAS che, in Veneto a causa dell’industria di settore, si sono diffusi nell’aria, nell’acqua, nella terra e nel sangue. I PFAS sono sostanze che hanno una grande varietà di applicazione usate per realizzare prodotti antiaderenti, impermeabili, imballaggi, abbigliamento e molto altro. Il cervello è un organo vulnerabile, i pugili hanno maggiori possibilità di ammalarsi di malattie neurodegenerative; anche l’infiammazione causata da un virus che colpisce gli organi interni, in tal caso il cervello, può provocare l’esordio di tali problematiche in età precoce sin dai 40 – 50 anni. Come nell’Alzheimer iniziano a formarsi aggregati nel cervello e poi in decorso del tempo fa il resto e si giunge sempre alla stessa conclusione: perdita della memoria breve, non si riconoscono più i parenti, non si ha consapevolezza del proprio essere, non si ricorda il giorno della settimana, in che epoca si vive. La conseguenza di tutto ciò è che secondo alcune proiezioni nel 2050 tre milioni di italiani avranno problemi. Oggi il 5% della popolazione italiana tra pazienti e chi li assiste deve fronteggiare queste problematiche: non c’è famiglia che non ha avuto problemi con questa malattia. Spesso i familiari si ammalano cercando di tenere a casa chi soffre di tali patologie. Il problema è degli ammalati che non possono permettersi di essere accuditi. La malattia nella fase terminale dura in media oltre 10 anni, in Italia ci sono servizi di assistenza, ma sono a macchia di leopardo con picchi di eccellenze, ma anche parecchie insufficienze. Inoltre non ci sono studi che escludono dal fatto che squilibri neurologici in giovane età siamo da attribuire alla presenza di queste microplastiche.

Che fare? Prima di tutto la diagnosi precoce, perché anche se non ci sono farmaci in grado di arrestare il processo di degenerazione cognitiva, è possibile rallentarlo. Questi esami sono la risonanza magnetica, la TAC, PET, ma sopratutto esami del sangue che analizzano la mutazione del gene che determina poi la malattia di Alzaimer. Le cure sperimentali future si basano su farmaci a RNA come per i vaccini del COVID che mirano non a lenire la patologia, ma a curarla. Ma al momento è ancora tutto in fase di sperimentazione. Il vecchio saggio si estinguerà?