Questo articolo di Daniele Zinni per Il Tascabile mi è sembrato molto interessante.
Ne riporto una piccola parte, è abbastanza lungo e la versione completa è su Il Tascabile.
Più nei social cerchiamo il controllo, più troviamo il doomscrolling. Un estratto da Sta arrivando la fine del mondo?
Scorrendo il pollice in su, lungo lo schermo del telefono, incontriamo di anno in anno più resistenza. Estraiamo contenuti social dal basso, li osserviamo brevemente, e poi li scartiamo verso l’alto.
“Una specie europea su cinque (tra animali e vegetali) è a rischio estinzione.”
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“Gaza, è strage tra i profughi in fila per gli aiuti.”
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“La nostra soglia di attenzione è di 8 secondi, meno di un pesce rosso.”
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Nel corso del tempo il gesto è rimasto lo stesso, ma sono aumentate le energie emotive e mentali necessarie ad avanzare nel feed. Scaviamo attraverso strati di materiali che ci riempiono d’inquietudine. Gas mefitici si liberano dalle sacche sotterranee in cui erano compressi. Temiamo che il fondo ceda e un abisso ci inghiotta.
“Onu, senza contromisure c’è un alto rischio di nuove pandemie.”
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“Intelligenza artificiale, in Italia a rischio oltre 8 milioni di posti di lavoro.”
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“Davos, 14 milioni di morti entro il 2050 per la crisi del clima.”
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I contenuti social sono davvero diventati più pesanti e difficili da maneggiare: persino le piattaforme un tempo considerate “frivole” traboccano ormai di aggiornamenti e testimonianze strazianti da crisi locali e globali. Anche la pressione interna è cresciuta: i confronti online sono diventati più aspri, i giudizi incrociati più taglienti; per ottenere maggiore visibilità, conviene trattare da nemico chiunque non abbia la nostra stessa posizione in un dibattito, ma anche chi mostri incertezza sulla posizione da adottare o chi verso quell’incertezza esprima comprensione. Il periodo storico fa la sua parte – ci offre scenari preoccupanti tra catastrofi naturali, orrori artificiali e tensioni sociali – ma la fatica e l’angoscia che proviamo mentre ci facciamo strada nel pozzo dipendono dalle abitudini collettive di consumo mediatico.
La sensazione di assistere, tramite i feed social, a un’apocalisse permanente, che non possiamo materialmente impedire e dalla quale non possiamo moralmente distogliere lo sguardo, è abbastanza diffusa da aver fatto emergere nel 2020 un neologismo per descriverla: doomscrolling. Idea suggestiva, lo “scrolling apocalittico”, e tuttavia autoassolutoria, perché si concentra solo sul nostro ruolo passivo, spettatoriale, mentre è attivo il nostro contributo al sovraccarico di contenuti deprimenti. Vale senz’altro per chi ne pubblica o ne condivide, ma vale anche per chi interagisce con essi o si sofferma a osservarli per più di qualche secondo: basta questo per segnalare all’algoritmo che persone con interessi compatibili coi nostri potrebbero volerli vedere e che noi stessi desideriamo vederne ancora.