I Millennials e la Generazione Z sono cresciuti in un pianeta diverso, che impone scelte più difficili, rispetto ai loro genitori. Accettare questo dato di fatto è il primo passo per evitare di lasciarsi sopraffare dall’angoscia.

Katie Cielinski e Aaron Regunberg sono millennials. Ma si considerano neonati del cambiamento climatico.

Sono diventati maggiorenni quando il mondo stava appena aprendo gli occhi di fronte all’impatto catastrofico dell’uomo sull’ambiente.

Prima di sposarsi, nel 2017, la coppia ha lottato per quasi un decennio con il dilemma etico dell’opportunità di introdurre un altro essere umano su un pianeta già sovra-affollato. Katie sosteneva la necessità di crescere un alleato del clima, un individuo che avrebbe combattuto per un pianeta sano, ma Aaron temeva per il futuro che loro figlio avrebbe dovuto affrontare.

“Stiamo uscendo dalle condizioni climatiche stabili che hanno caratterizzato e sostenuto l’intero sviluppo della civiltà umana”, afferma Aaron. “Questa è una catastrofe assolutamente unica nella vita della nostra specie, diversa da qualsiasi altra sfida che abbiamo dovuto affrontare in passato”.

Ma i due coniugi non sono certo soli in questa battaglia. Secondo un sondaggio del 2020 pubblicato sulla rivista Climatic Change, il 60% circa degli americani tra i 27 e i 45 anni si preoccupa dell’impatto ambientale che una nuova nascita comporta. Lo stesso sondaggio ha anche rilevato che oltre il 96% dichiara di essere preoccupato per il benessere di un bambino in un mondo alterato dal clima. … continua a leggere

  • @damtuxOP
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    10 months ago

    In genere saper guardare oltre il “brand” famoso è il primo passo da fare, visto che spesso i “marchi” hanno costruito (e continuano a costruire) fortune sulla grossa differenza tra costo di produzione e prezzo di vendita al dettaglio (anche considerando i costi di distribuzione e marketing e bla bla). Concordo con ciò che scrivi ma è un discorso che riguarda anche la qualità dei processi, oltre a quella delle materie prime. L’argomento è ampio e multi-sfaccettato. Ad es. spesso per tingere i jeans si utilizzano coloranti nocivi sia per l’uomo che per l’ambiente (lo sono nella grande maggioranza dei casi) perché così il processo costa meno, e questo viene fatto/scelto sia dai brand, dai grandi nomi, che dagli altri brand low-cost. Qui intendo che bisognerebbe cercare la terza via, produzione possibilmente locale o europea con materie prime di qualità, scelta di processi non nocivi e specialmente amore per ciò che si fa e si produce (e quindi quantità prodotte più contenute). Ok, probabilmente i capi costeranno di più ma si entra in un’ottica completamente nuova di “gestione degli acquisti” e di vita, con benefici diretti per il pianeta. “Indovina chi viene a cena” della Rai (che ha lo stesso approccio di Report) ha focalizzato diverse puntate su questi temi ed è molto interessante vedere il “dietro le quinte”, anche dei produttori asiatici. Molte puntate sono visibili su Youtube.

    • suoko
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      310 months ago

      Cambiando un minimo argomento, riguardo i capi di qualità c’è una cosa che mi fa ridere dell’uomo moderno sportivo. Vedi persone che si bardano con tute costosissime che reggono temperature proibitive, climatizzate, protettive dalle cadute, usando magari piccoli mezzi semi elettrici usciti dalla ESA, il tutto usato per divertimento, poi però devono viaggiare in enormi mezzi mangia-gasolio per non sudare mezza goccia di sudore per spostarsi quotidianamente e trasportare magari un bimbo di 20kg e la sua merenda. Lì c’è da preoccuparsi

      • @damtuxOP
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        19 months ago

        ahah hai ragione :) e ti direbbero: “… ma quotidianamente non abbiamo tempo, dobbiamo essere efficienti e stare veloci!”