Libraio
il film è - deliberatamente - diverso, perfino nel finale. Fossi in te cercherei il libro in biblioteca (così non rischi di spendere un deca per un consiglio “sbagliato”): in mezz’ora si legge. Il peggio che ti potrà succedere sarà che avrai buttato mezz’ora della tua vita (più il tragitto per la biblioteca e ritorno). Come dicevo, io ci ho letto molto sui meccanismi di omologazione, bullismo, “spirito di gruppo”, esclusione. La mia, però, è una lettura personale, come sempre quando si tratta di lettura.
Diciamolo pure: Orwell è stato strumentalizzato (e devo dire che si è fatto strumentalizzare con facilità) sia per questo libro, sia per 1984, che credo sia uno dei libri più citati a sproposito della storia della letteratura. Per qualsiasi cosa, oggi, si tira fuori l’aggettivo orwelliano, svuotandolo così di ogni senso.
Nel tempo (e grazie alla professione) ho sviluppato un’adorazione al limite dell’idolatria per il sacro oggetto libro, così sfogo su un diario di lettura il mio insano bisogno di appuntarmi ogni quisquilia (e devo dire che la cosa mi sta sfuggendo di mano). Favorisco istantanea della mia malattia mentale (appunti presi durante la lettura di SULLA STRADA di Jack Kerouac).
Sì, sono pazzo.
Il mio libro di maggio è FAUSTO E ANNA di Carlo Cassola (Mondadori).
Diciamo che rientrerebbe nella cosiddetta letteratura resistenziale anche se si tratta di un libro doppio: unisce il racconto dei primi turbolenti amori adolescenziali alle vicende dei giovani partigiani toscani. Un racconto che non celebra in modo apologetico la Resistenza, ma la descrive in tutte le sue pieghe: ideologie, umanità varie, improvvisazioni, ingenuità e anche abusi e violenze. Tanto che Cassola fu accusato, all’epoca (1952) di aver infangato la Resistenza. In alcuni brani mi ha ricordato molto IL CLANDESTINO (sempre Oscar Mondadori) di Mario Tobino, proprio per il realismo nel rappresentare un movimento di giovani “di belle speranze”, preda però di errori e disorganizzazione.
Giorno 1. Una nota sullo stile: frasi brevi, taglienti, paratattiche, senza tanti fronzoli e complicazioni. Eppure non si nega importanti metafore e figure retoriche, che semina lungo la narrazione (es.: “A Kushiro non c’era neve fresca. Quella vecchia era ammassata ai lati delle strade, gelata e sudicia, come parole destituite di senso.”). Noto quindi (e mi piace) l’unione tra la scarna sinteticità con le descrizioni “limate” al punto giusto. I personaggi sono accennati il minimo indispensabile per dare un’idea, una fotografia legata a pochi tratti. N.B.: il terremoto a cui fa riferimento in questo primo racconto (intitolato “Atterra un Ufo su Kushiro”) credo sia il sisma avvenuto a Kobe il 17 gennaio 1995, che fece circa 4000 morti.