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«Per anni ho lavorato senza essere pagato. Mi dicevano: “Sai come vanno queste cose, siamo un po’ in difficoltà, prima o poi arriveranno gli sponsor”. Io ingenuamente ci speravo, e intanto provavo ad arrangiarmi anche con altri lavori». Giacomo, 34 anni, dopo la laurea ha lasciato un contratto a tempo indeterminato per inseguire il sogno di diventare giornalista. Grazie a un tirocinio è entrato nella redazione di un giornale locale: «Investigavo sui movimenti di estrema destra, la mafia nigeriana, i diritti dei lavoratori sfruttati. Più volte mi sono trovato in situazioni pericolose, sono stato minacciato. A un certo punto però ho dovuto smettere perché non avevo nessuno alle spalle: non avevo soldi e non potevo permettermi di essere querelato. Il direttore mi ha detto chiaramente: “Fai come vuoi, ma sappi che non abbiamo avvocati per aiutarti”».
Giacomo è solo uno dei tanti giornalisti freelance che vivono sul filo del rasoio: gli articoli dei giornali sono pagati sempre meno e le collaborazioni raramente hanno una continuità che permetta di avere certezze sul futuro. «Vivevo schiacciato da una pressione che veniva da più parti: la pressione del caporedattore che aspettava l’articolo, la pressione di chi voleva che quell’articolo non venisse pubblicato, la pressione dell’affitto e delle bollette da pagare – racconta Giacomo –. Ho sofferto di tachicardia, facevo fatica a respirare, avevo la gastrite, la pressione alta, una continua fame nervosa». Con il tempo, Giacomo si è allontanato dalle persone care. Ha smesso di parlare con sua madre, ha chiuso la sua relazione sentimentale. A un certo punto si è trovato solo.