Una buona analisi sullo stato del giornalismo sportivo in Italia da parte di Valerio Moggia per Valigia Blu.

L’Italia dello sport sta facendo indubbiamente una bella impressione ai Giochi Olimpici, ed è un peccato non sia sempre raccontata con la dovuta serietà e competenza da parte degli addetti ai lavori. Essere giornalisti sportivi, nel nostro paese, non è un mestiere semplice, ma la situazione non può non sembrare paradossale nel momento in cui troppo spesso si leggono sui quotidiani articoli di penne illustri che abbondano di superficialità e retorica. Purtroppo, le ultime settimane ci hanno regalato non pochi casi di questo tipo, ultimo dei quali un articolo di commento di Aldo Cazzullo sulla medaglia d’oro della ginnasta Alice D’Amato. Nella chiusura del pezzo, il giornalista del Corriere della Sera scrive che questo successo, unito al cammino della squadra femminile di volley, testimonia non solo la crescita della scuola italiana nella ginnastica, ma è anche “la conferma della forza morale delle donne italiane”.

Una bella frase, a sentirsi, ma totalmente svuotata di significato: quale sarebbe questa “forza morale” che caratterizza le “donne italiane” (si badi bene: non le atlete, ma le donne in generale) rispetto a quelle di altri paesi, che di certo non sono da meno in termini di medaglie nelle più svariate discipline? Si potrebbe pensare, per esempio, all’eccezionalità della brasiliana Rayssa Leal, che a soli 16 anni ha già partecipato a due edizioni dei Giochi, vincendo un argento a Tokyo e un bronzo a Parigi nello skateboard. Brasiliana come Rebeca Andrade, oro a Tokyo nel volteggio e, quest’anno, nel corpo libero, davanti a Simone Biles.

L’uso delle parole di Cazzullo desta delle perplessità: se si fosse parlato di forza “mentale” si sarebbe potuto comprendere (sebbene, anche in questo caso, la questione andrebbe un po’ smitizzata, come proprio Biles ha fatto capire in passato). Ma da quando in qua il successo sportivo è indice di “moralità”, qualunque cosa si intenda con questo termine? Nell’articolo in questione non ci sono considerazioni tecniche di alcun tipo, non c’è nulla che uno spettatore non avrebbe potuto carpire dalla visione della gara. Cosa aggiunge un giornalismo sportivo di questo tipo? Ci si sofferma, invece, su dettagli da retorica nazionalista vecchio stampo, come D’Amato - cinque volte su sei chiamata solamente “Alice”, senza cognome - che canta “emozionatissima” e “in sussurri” l’inno di Mameli, “con la mano sul cuore”. Cioè, allo stesso modo della maggior parte delle atlete e degli atleti, italiani e non solo.

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  • lgsp
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    2
    ·
    1 month ago

    Articolo interessante, niente da aggiungere. Per me la cura è stare alla larga dai media tradizionali, ormai vuoti e inutili.

  • skarikoOPA
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    1
    ·
    30 days ago

    Su questo tema mi permetto di aggiungere questo screenshot preso da Gazzetta dello Sport 🙈